lunedì 9 gennaio 2017

Ismaela Evangelista: Uno schiaffo e una carezza





Autore: Ismaela Evangelista
Titolo: Uno schiaffo e una carezza
Editore: Butterfly Edizioni
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2014
Pagine: 97

SINOSSI
Il ricordo più amaro che Edoardo conserva della sua infanzia è la vergogna provata nell’entrare in chiesa, sotto gli occhi di tutto il paese, accompagnato da sua madre e dal fratello Nazario, che, preso da tic e scatti nervosi, attirava su di sé gli sguardi impietosi e talvolta disgustati degli altri. Edo, da bambino, conduceva una doppia vita: quella spensierata con gli amici e quella in famiglia, insieme al fratello malato. Quel fratello non poteva giocare, scherzare, utilizzare bicchieri di vetro o forbici. Quel fratello aveva una vita interrotta, era uno schiaffo in pieno viso per tutta la famiglia mentre lui, Edo, era la carezza e ciò lo caricava di una terribile responsabilità: salvare i suoi genitori dalla sofferenza e, dunque, non concedersi mail il lusso di deludere nessuno all’infuori di se stesso.
Con una prosa intensa e commovente, Ismaela Evangelista tratteggia il profilo di una malattia difficile, la sindrome di Tourette, evidenziando con eguale sensibilità il dolore dei famigliari ma anche le opportunità che bisogna imparare a sfruttare. Uno schiaffo e una carezza è un romanzo che fa tremare il cuore e che apre gli occhi, con incredibile delicatezza e un’ammirevole lucidità.





A raccontare la storia, in prima persona, è Edoardo.
Edo è maggiore di tre anni rispetto al fratello Nazareno. Era felice di avere un fratello, come un dono miracoloso, un compagno di giochi e divertimento. Purtroppo, non è stato così, perché Nazareno pochi anni dopo la nascita, mostrerà alcuni disturbi neurologici che diventeranno invalidanti nel corso della crescita. Nazareno, infatti, è affetto dalla Sindrome di Tourette, la quale gli fa compiere gesti inconsulti, tic incontrollabili e rantoli vocali.
Per la loro famiglia, scoprire questa malattia, è come ricevere uno “schiaffo”, tanto da isolarsi e chiudersi intorno al disagio del figlio.
Non ci saranno più feste di compleanno con i parenti, ma solo loro quattro.
Questa nuova situazione, carica di responsabilità Edoardo. Lui è la “carezza” da cui i genitori cercano un riscatto, una gratificazione, una rivincita dallo “schiaffo” che la vita gli ha dato.
Edoardo inizia a sentire su di sé la responsabilità gravosa di non deludere i suoi genitori, ma non brilla come loro si aspettano. A scuola è nella media, né tra i primi, né tra gli ultimi. Lui si sento nudo e solo, come quando è nato e lo hanno messo nell’incubatrice.
Sebbene presenti e amorevoli, i suoi genitori non si sono mai preoccupati di capire come si sentisse Edoardo ad avere un fratello disabile, ma lui si vergogna di Nazareno anche se non ha il coraggio di dirlo apertamente. È triste, non riesce a ridere e divertirsi come i ragazzi della sua età. Cerca di essere simpatico con loro, ma dentro di sé c’è un groviglio, un peso, una difficoltà che non lo rende libero.

“Avevo bisogno di staccarmi fisicamente da lui, ma durante le ore il legame emotivo era forte e pressante: non potevo evitare di sapere come stava e cosa gli succedeva. Lo cercavo, lo trovavo, lo vedevo e soffrivo”.

A scuola, Nazareno è oggetto di derisione e vessazione da parte dei compagni. Edoardo ha il dovere di difenderlo, ma chi può difendere lui stesso?

“Io provavo dolore per quelle dicerie e non le ho mai raccontate ai miei genitori, perché una carezza è pur sempre una carezza. Non fa mai male”.

 A un certo punto del racconto, Edoardo fa un’analisi dei suoi genitori, molto dettagliata quella sul padre, più superficiale verso la madre, perché lei non mostra apertamente i suoi sentimenti, si tiene tutto dentro ed è difficile capirla.
Il vero protagonista non è Nazareno, ma i familiari che vivono con lui.
Tutto è visto con gli occhi di un fratello, un bambino, un ragazzo e poi uomo, per questo è raccontato con semplicità, genuinità e dolore.
Il tema principale non è tanto l’aspetto della malattia, quanto il disagio con chi ci deve convivere.
L’autrice sceglie di percorrere una strada: quella di una famiglia che si isola e, probabilmente, peggiora la disabilità di Nazareno. Forse poteva avere una vita normale, ma la chiusura adottata dai genitori, lo ha reso persino ansioso e depresso.
Quando si scrive un romanzo, è una sola la strada da percorre, quella che si decide di narrare. Bisogna focalizzarsi su una direzione e proseguire. Questo rende coerente e fluida tutta la vicenda.
La scrittura è pulita, senza fronzoli, ci sono pochi dialoghi. È un percorso emotivo, carico di sensazioni ed emozioni.
Una lettura diversa dai miei soliti romanzi, che apre uno spiraglio a ciò che è la vita vera.
Consigliato.




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