Autore:
Ismaela Evangelista
Titolo: Uno
schiaffo e una carezza
Editore:
Butterfly Edizioni
Genere:
Narrativa
Anno di
pubblicazione: 2014
Pagine: 97
SINOSSI
Il ricordo
più amaro che Edoardo conserva della sua infanzia è la vergogna provata
nell’entrare in chiesa, sotto gli occhi di tutto il paese, accompagnato da sua
madre e dal fratello Nazario, che, preso da tic e scatti nervosi, attirava su
di sé gli sguardi impietosi e talvolta disgustati degli altri. Edo, da bambino,
conduceva una doppia vita: quella spensierata con gli amici e quella in
famiglia, insieme al fratello malato. Quel fratello non poteva giocare,
scherzare, utilizzare bicchieri di vetro o forbici. Quel fratello aveva una
vita interrotta, era uno schiaffo in pieno viso per tutta la famiglia mentre
lui, Edo, era la carezza e ciò lo caricava di una terribile responsabilità:
salvare i suoi genitori dalla sofferenza e, dunque, non concedersi mail il
lusso di deludere nessuno all’infuori di se stesso.
Con una
prosa intensa e commovente, Ismaela Evangelista tratteggia il profilo di una
malattia difficile, la sindrome di Tourette, evidenziando con eguale
sensibilità il dolore dei famigliari ma anche le opportunità che bisogna
imparare a sfruttare. Uno schiaffo e una carezza è un romanzo che fa tremare il
cuore e che apre gli occhi, con incredibile delicatezza e un’ammirevole
lucidità.
A raccontare
la storia, in prima persona, è Edoardo.
Edo è
maggiore di tre anni rispetto al fratello Nazareno. Era felice di avere un
fratello, come un dono miracoloso, un compagno di giochi e divertimento.
Purtroppo, non è stato così, perché Nazareno pochi anni dopo la nascita,
mostrerà alcuni disturbi neurologici che diventeranno invalidanti nel corso
della crescita. Nazareno, infatti, è affetto dalla Sindrome di Tourette, la
quale gli fa compiere gesti inconsulti, tic incontrollabili e rantoli vocali.
Per la loro
famiglia, scoprire questa malattia, è come ricevere uno “schiaffo”, tanto da
isolarsi e chiudersi intorno al disagio del figlio.
Non ci
saranno più feste di compleanno con i parenti, ma solo loro quattro.
Questa nuova
situazione, carica di responsabilità Edoardo. Lui è la “carezza” da cui i
genitori cercano un riscatto, una gratificazione, una rivincita dallo
“schiaffo” che la vita gli ha dato.
Edoardo
inizia a sentire su di sé la responsabilità gravosa di non deludere i suoi
genitori, ma non brilla come loro si aspettano. A scuola è nella media, né tra
i primi, né tra gli ultimi. Lui si sento nudo e solo, come quando è nato e lo
hanno messo nell’incubatrice.
Sebbene
presenti e amorevoli, i suoi genitori non si sono mai preoccupati di capire
come si sentisse Edoardo ad avere un fratello disabile, ma lui si vergogna di
Nazareno anche se non ha il coraggio di dirlo apertamente. È triste, non riesce
a ridere e divertirsi come i ragazzi della sua età. Cerca di essere simpatico
con loro, ma dentro di sé c’è un groviglio, un peso, una difficoltà che non lo
rende libero.
“Avevo bisogno di staccarmi fisicamente da
lui, ma durante le ore il legame emotivo era forte e pressante: non potevo
evitare di sapere come stava e cosa gli succedeva. Lo cercavo, lo trovavo, lo
vedevo e soffrivo”.
A scuola,
Nazareno è oggetto di derisione e vessazione da parte dei compagni. Edoardo ha il dovere di difenderlo, ma chi può difendere lui stesso?
“Io provavo dolore per quelle dicerie e non
le ho mai raccontate ai miei genitori, perché una carezza è pur sempre una
carezza. Non fa mai male”.
A un certo punto del racconto, Edoardo fa
un’analisi dei suoi genitori, molto dettagliata quella sul padre, più
superficiale verso la madre, perché lei non mostra apertamente i suoi
sentimenti, si tiene tutto dentro ed è difficile capirla.
Il vero
protagonista non è Nazareno, ma i familiari che vivono con lui.
Tutto è
visto con gli occhi di un fratello, un bambino, un ragazzo e poi uomo, per
questo è raccontato con semplicità, genuinità e dolore.
Il tema
principale non è tanto l’aspetto della malattia, quanto il disagio con chi ci
deve convivere.
L’autrice
sceglie di percorrere una strada: quella di una famiglia che si isola e,
probabilmente, peggiora la disabilità di Nazareno. Forse poteva avere una vita
normale, ma la chiusura adottata dai genitori, lo ha reso persino ansioso e
depresso.
Quando si
scrive un romanzo, è una sola la strada da percorre, quella che si decide di
narrare. Bisogna focalizzarsi su una direzione e proseguire. Questo rende
coerente e fluida tutta la vicenda.
La scrittura
è pulita, senza fronzoli, ci sono pochi dialoghi. È un percorso emotivo, carico
di sensazioni ed emozioni.
Una lettura
diversa dai miei soliti romanzi, che apre uno spiraglio a ciò che è la vita
vera.
Consigliato.
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